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La Contessa ANNE-HENRIETTE-SIDONIE de BIGAULT de PARFONRUT fu l’ultima componente della famiglia a vivere nella storica CASA RODRIGUEZ fino alla sua morte, avvenuta il 22 novembre 1911. Le sue spoglie riposano nel Cimitero Monumentale di Iglesias (CA).
Nata in Francia il 19 febbraio 1831 a Lachalade (Mosa, Lorraine) dal Giudice di Pace della Varenna Charles-François de Bigault de Parfonrut (1787-1842) e da Alexandrine-Henriette-Françoise de Beffroy (1803-1852), sposò a Cagliari, nel 1853, DON ENRICO RODRIGUEZ DI IGLESIAS (1818-1896) di discendenze aragonesi.
Dall’unione nacquero i figli Ferdinand Luigi Pietro Antioco Rodriguez di Iglesias (1854-?) e Umberto Rodriguez di Iglesias (1866-1896).
La famiglia dei Conti de BIGAULT, di origine normanna, è considerata uno dei più antichi lignaggi delle Argonne, una zona nord-orientale della Francia dove giunse dall’Inghilterra a partire dal 1328. Un albero genealogico del XIV secolo indica Claude de Bigault, conte di Harcourt e signore di Bersy, come il primo della famiglia a stabilirsi a Quincy en Argonne.
Nel 1790 la famiglia annoverava sette membri nelle guardie del corpo di Luigi XVI e due ufficiali di artiglieria nell’esercito.
Alla fine della Rivoluzione Francese, l’abbazia cistercense di Lachalade divenne proprietà della famiglia de Bigault. Fra le sue mura Charles-François de Bigault, padre di SIDONIE, fondò la più grande vetreria delle Argonne.
Nel 1811 fondò anche la casa di champagne Charles de Cazanove e fece costruire in loco la prima linea ferroviaria per il trasporto del prodotto vinicolo. Ricoprì anche il ruolo di Sindaco di Lachalade nel dipartimento della Mosa.
DON ENRICO RODRIGUEZ, originario di Iglesias, fu ferito durante la sua partecipazione ai moti rivoluzionari delle Due Sicilie. Fu congedato con il titolo militare di Generale e, per ben due volte, ricoprì la carica di Sindaco nella sua città di origine.
Dopo la morte il Regno d’Italia riconobbe alla vedova una pensione di 2166,66 lire, come riporta la Gazzetta ufficiale dell’epoca che ne indica i nomi italianizzati.
Stemma di famiglia all’interno di Casa Rodriguez: un cuore umano sormontato da tre dardi neri affiancati. La sovrastante figura femminile stringe nella mano destra una ghirlanda di alloro.
La fascia riporta il MOTTO latino di DON ENRICO Tela retrorsum in hostes (non voltare le spalle al nemico).
In epoca aragonese, oltre i rarissimi titoli feudali di Signore e di Barone (quasi eguali fra loro), a tutti i Nobili sardi, autoctoni o d’importazione catalano-aragonese, era concesso anche il titolo di Cavaliere Ereditario.
Il trattamento privilegiato di Don, normalmente riservato al Re, alla Regina e ai loro figli, nipoti e cugini, poteva essere concesso a certi funzionari che rappresentavano il Sovrano in qualità di Viceré o Luogotenente Generale dell’Isola di Sardegna (uguale per la Sicilia) e Regio Vicario di Città Reale. Il trattamento era personale e non ereditario. Gli Aragonesi concedevano anche il titolo della Generosità come riconoscimento delle famiglie nobili, il cui privilegio si estendeva, oltre ai discendenti maschi e femmine, anche ai collaterali fratelli e sorelle. Il privilegio, concesso da solo o a chi era già Cavaliere, non modificava il trattamento: il Cavaliere era sempre detto Magnifico e Mossen (contrazione di Monsignore).
La qualifica di Don sostituì il trattamento con l’arrivo in Sardegna dei Castigliani. Carlo V, allo scopo di alimentare le finanze per le sue guerre, inventò il Privilegio di Nobiltà (detta poi Nobiltà Sarda) come concessione primigenia o come riconoscimento a chi fosse già Cavaliere o Generoso. Secondo il costume castigliano, il nuovo privilegio, accompagnato dal titolo di Cavaliere, veniva qualificato dall’appellativo-titolo di Don e Donna.
Tutti i Nobili Sardi che riuscirono a dimostrare il possesso del doppio titolo di Cavaliere e Nobile (Sardo) – la Generosità nel frattempo era caduta in disuso – ottennero quindi il titolo di Don, più precisamente “Cavaliere Nobile Don” specifico dell’esclusiva Sardegna (v. Ordinamento Nobiliare dello Stato Italiano, lettera C dell’Art. 39).